Outskirts Milano Urban Gravel

Con questo posso dire di aver chiuso il cerchio.

Ne ho tracciati di percorsi, ma questo è il più fuori di testa che abbia mai partorito…
…e la cosa bella è che mi piace un sacco!

Un giro senza regole ne schemi, ci trovi tutto, asfalto, sterrato, “GPM”, marciapiedi, scalinate, tangenziali, proprietà private, vicoli tetri dove la notte si consuma tutto tranne che l’Amore, sottopassi di stazioni trasformati in dormitori, posteggi auto adibiti a latrine a cielo aperto, murales che meriterebbero di essere esposti nei musei, ponti pedonali firmati da architetti che meriterebbero di essere esposti al giudizio del popolo, quartieri avveniristici che celano una condanna alla tristezza, un intero arcobaleno di colori ma soprattutto di odori, perché sono proprio gli odori a regalare le sensazioni più forti, qui performance, passo e KOM non esistono, domina la Realtà!

Di proposito Outskirts si snoda lungo quei confini creati dall’Uomo per stabilire ciò che è dentro da ciò che non lo è, una sterile scusa per poter, come sempre, divide e catalogare terre, cose, persone. Non ho contato quante volte si incontra il cartello Milano e Milano sbarrato di rosso, non ho contato quante volte si incontrano capolinea di bus e tram, non ho contato quante volte si passa a fianco di Esselunga edificate tutte uguali.

Ottanta chilometri che vogliono dimostrare che non esiste una sola grande città, ma esistono centinaia di borghi, comunità, Mondi che come uno stormo, uniti formano qualcosa di grande, Milano!
Ottanta chilometri che ribaltano il concetto di giro in bicicletta, esaltando quella strana creatura che oggi fa figo chiamare Gravel, la bici Universale che regala la libertà totale di pedalare ovunque!

Punto di partenza ed arrivo il Velodromo Parco Nord Milano, anello di 400 aperto tutti i giorni grazie al lavoro dei volontari del Team “Dateci Pista”, dove chiunque, basta che si presenti con il casco in testa, può entrare e sentirsi anche solo per un secondo il detentore del record dell’ora, il primo classificato di una classica del nord, ma anche la locomotiva di Berna in terra milanese. Recintato, normato, molto ben custodito, si tratta di una delle poche enclave nell’hinterland meneghina dedicata esclusivamente ai ciclisti.

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Attraverso il Parco Nord le ruote punteranno prima Affori, Bovisa, Villapizzone, poi tra capannoni e stazioni ferroviarie, attraversando uno dei tanti ponti pedonali su una delle grandi arterie della città, si raggiungerà il Gran Premio di giornata, la cima del Monte Stella, qui libera scelta da quale versante puntare la Cima Coppi.

Scesi dalla montagnetta, uno spettacolo di mulares sul perimetro dell’Ippodromo indica la via verso il Parco Trenno. Parco delle Cave, Forze Armate, Giambellino e Laghi di Assago disegnano il lato Ovest del “Ronde”. A Gratosoglio, dopo aver superato il Naviglio Pavese con bici in spalla, è consigliato un coffee break. Vaiano, Chiaravalle, San Giuliano Milanese Triginto raccordati da segmenti di ogni tipo, formano il lato Sud.

Con le cime delle Grigne e Resegone in lontananza, il terzo lato attraversa Robbiano, Peschiera Borromeo, e, come omaggio, si tuffa in un breve tratto della Gravel Del Duca di Daniele, con due sterrati alle porte di Mezzate seguiti dalla ciclabile all’interno dell’Idroscalo. Fuori dal bacino artificiale, svalicando ancora una volta uno dei passaggi pedonali deliranti di protagonismo, Segrate e la passerella all’interno di Milano2. Il confine di via Olgettina coincide con uno dei più grossi depositi Amsa della città a destra e l’ospedale San Raffaele a sinistra, curiosa coincidenza mi viene da dire… a meno 8 km violazione in una proprietà forse privata per agganciare la Martesana sino a viale Padova, Villa San Giovanni, Sesto e di nuovo il Velodromo del Parco Nord, fine della Milano Urban Gravel.

Io l’ho già fatta due volte, ma credo che la rifarò ancora, ancora, ancora… è come un gran bel film, ogni volta scopri qualcosa di nuovo, qualcosa che non hai notato la volta prima.

Consigli? Viverla “de panza”

Bici? Qualunque, anche se con la gravel è l’ideale.

Tempo necessario? Dipende

Difficoltà? Minima

Seguire la traccia? A volte bisogna usare stupefacenti…

Passaggi? se pensi sia improbabile proseguire proprio in quella direzione, pedala! Oltre troverai qualcosa che ti stupirà!

Traccia (rivista sz Idroscalo): Outskirts Milano Urban Gravel

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H2O200 – un lungo viaggio sulle vie d’acqua di Milano

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Poter pedalare a fianco di Fiumi, Canali, ma anche semplici Rogge mi ha sempre stuzzicato. Il primo tentativo fu nel 2014, quando preso dall’entusiasmo per l’acquisto di una Mtb Cube, disegnai un percorso che affiancasse i fiumi presenti in Brianza, lo chiamai DarkDirTrackRando, Dark perché in notturna, durante il Solstizio d’estate, Dirt Track, perché sterrato, Rando, perché faceva randagio.

Col tempo cambiò pelle più volte per diventare quella che la Storia ricorda con il nome di Tratturi Brianzalandia, 110 km sui sentieri della Brianza, molto spesso a fianco di fiumi o laghi ma con troppi metri di dislivello per chiamarsi Gravel, quindi meglio l’italico Tratturi. Il 4 Dicembre ’16 l’edizione Zero, 62 i partenti, tutti giunti all’arrivo entusiasti del percorso, di come tutti i segmenti fossero raccordati nel modo migliore e quanto fosse bello pedalare lontano dal traffico delle auto. Anche l’atmosfera nel gruppo fu perfetta, zero competizione, nessun check point, senza limite di tempo, brindisi ad ogni Bar, insomma, pura e semplice libidine di perdersi per i boschi in compagnia di vecchi ma soprattutto nuovi amici di pedalata.

Visto il successo, anche la Tratturi ha ricevuto la sua Private Edition, così come per il Giro del Demonio, per  tutto l’anno si ha la possibilità di recuperare la traccia GPS e seguirla quando si vuole, senza dover aspettare un’intero anno per partecipare al prossimo evento.

Il sogno di pedalare a fianco dei corsi d’acqua però era in parte realizzato…

Milano e i suoi canali…

Spulciando su internet si trova parecchio materiale che racconta la Milano che non c’è più, la rete di Navigli, i canali al servizio dei grandi poli industriali, ma soprattutto i corsi dei Fiumi che loro malgrado hanno subito la prepotenza di una Metropoli in piena espansione, deviazioni , interramenti o addirittura condanne a morte, trasformati a semplici fosse al lato delle grandi vie asfaltate.

Grazie all’EXPO ed al tema che ha animato i sei mesi dell’Esposizione Universale di Milano, la città ha riscoperto le sue origini, quanto fosse ricca di fiumi e canali, prima a difesa di una giovane città, poi al servizio del trasporto di persone e merci, Il Duomo non sarebbe il Duomo senza l’acqua.

Con i finanziamenti arrivati per il grande evento parecchi corsi d’acqua sono stati recuperati, molte piste ciclabili inaugurate e interi quartieri abbandonati al degrado, bonificati, restituendo così ai milanesi una città più umana, più verde.

In questo contesto l’idea di disegnare un percorso inedito per la nuova Milano era quasi un dovere. Totale assenza di salite, non è questa l’occasione di morire su rampe malefiche, limitare il più possibile l’uso delle strade, cercando, spulciando e sfruttando al massimo le ciclabili, ma soprattutto, un omaggio alle Vie d’acqua che nei secoli hanno fatto grande Milano, su tutti i Navigli.

Punto di partenza ed arrivo Piazza Duomo, il centro assoluto della città, poi la Darsena, chiamata anche il Porto di Milano, il Naviglio Grande, il primo dei canali milanesi, ma anche i Fiumi che quotidianamente riforniscono i canali diretti a Milano, Ticino ad ovest e Adda ad Est. Con queste premesse, il percorso è già pronto, dal Duomo verso Porta Ticinese, poi al fianco del Naviglio Grande sulla ciclabile sino le chiuse di  Turbigo, da qui a lato del Canale Industriale, detto anche Canale Vizzola, si raggiungerà le dighe di Tornavento  prima e di Panperduto poi, punto più a nord/ovest del percorso. Questo luogo incantevole è anche il punto dove il Villoresi riceve l’acqua dal Ticino. Allora perché non percorrerlo per tutta la sua lunghezza? Questo darà la possibilità di agganciare il secondo fiume amico alla città di Milano, l’Adda, principale immissario del Naviglio Martesana.  La lunghezza del Villoresi è considerevole, circa 86 km, uno dei canali artificiali più lunghi d’Italia, al suo fianco, fortunatamente, corre una pista ciclabile che solo per brevi tratti è interrotta, un piccolo dazio su una lunghezza del genere.

Raggiunto Groppello, con il Villoresi ormai declassato a poco più di una roggia, l’itinerario devia verso nord per far visita alla chiusa della Martesana, nel comune di Trezzo, ai piedi del Santuario Divina Maternità. L’inizio della ciclabile sull’alzaia del canale coincide anche con il punto più a Est del ring, da qui una lunga cavalcata in compagnia delle acque per rientrare verso il capoluogo lombardo.

A Cassina de’ Pomm la Martesana  scompare sotto il manto stradale di viale Melchiorre Gioia, siamo ormai nel centro di Milano. Per rendere gli ultimi chilometri più spettacolari, deviazione verso i nuovi quartieri Isola e Varesine, Bosco Verticale, Unicredit Tower, e le torri di Samsung e BNP. Triangolo rosso ai bastioni di Porta Venezia, San Babila e passarella finale lungo Corso Vittorio Emanuele.

Non è proprio un scherzo, i chilometri complessivi sono poco più di 200, quasi tutti su ciclabile, molti su strade bianche, pochi in single-track o sterrato tecnico, purtroppo ci saranno anche brevi segmenti su strada, inevitabili per raccordare un ring così lungo. Tanta ciclabile appunto, ma anche qualche passaggio che renderà l’esperienza più pepata, il passaggio sul ponte tibetano di Turbigo, ma anche lunghi segmenti su argini privi di protezione.

Solo in Private Edition

Al contrario del Giro del Demonio, Tratturi Brianzalandia e Frontaliers, H2o200 sarà solo in Private Edition, quindi in linea teorica non ci sarà una sola H2o200, ma infinite, edizione primaverile, invernale, feriale, natalizia, bagnata, innevata, notturna,  solitaria o di massa, tutte uniche, tutte con la stessa trama di fondo, l’acqua.

Anche il km Zero è personalizzabile, non è obbligatorio raggiungere Piazza Duomo per essere in Private, ogni punto è lecito per agganciarsi e seguire la traccia. Inoltre, grazie al passaggio del canale Villoresi a pochi chilometri da Milano, è possibile percorrere il giro in due tappe, una prima percorrendo il lato ovest a fianco del Naviglio Grande, una seconda lato Est in compagnia del Villoresi sino al suo tuffo nel Naviglio Martesana.

H2O200, 200 chilometri alla scoperta delle vie d’acqua di Milano, un viaggio, non una sfida.

Ti pentirai di essere partito, sarai triste quando lo avrai terminato.

Max BigA

Questo il link dove scaricare la traccia: H2O200.gps
Queste alcune immagini del mio ride test del 9 maggio scorso.
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Il ciclismo che unisce…

29 Ottobre 2016 – Muretti Madness

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04 Dicembre 2016 – Tratturi Brianzalandia

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21 Dicembre 2016 – Notturna al Solstizio d’Inverno

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29 Gennaio 2017 – Rando Merla

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18 Marzo 2017 – Giro del Demonio

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26 Marzo 2017 – Gravel del Duca

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1 Aprile 2017 – Martesana Van Vlaanderen

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8 Aprile 2017 – LodiLeccoLodi

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12 Aprile 2017 – Cornizzolo by night Yuri Gagarin Tribute

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next…

©granciclismo.com
©fulviosilvestri.com
©maxbigandrews

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Il lavoro iniziato più di due anni fa con la prima bozza per una traccia offroad battezzata DDTR che col tempo ha cambiato pelle sino a diventare un percorso Gravel, ha raggiunto il suo apice lo scorso 4 dicembre ’16 nell’Edizione Zero della “Tratturi Brianzalandia”. Le numerose modifiche subite nel corso del tempo hanno trasformato un’idea in un evento concreto, un raduno di appassionati che preferiscono sporcarsi di fango o cambiare più volte una camera d’aria piuttosto che essere in balia dei pericoli di un traffico arrogante.

Il richiamo agli antichi sentieri erbosi utilizzati dai pastori del centro Italia, la denominaziome storpiata della terra che ospita la maggior parte delle mie uscite, sono il nome e cognome di questa Gravel che proprio Gravel non è.

Si tratta di un anello lungo 110 km con 1.100 mds, un percorso completo di ogni tipo di fondo, dalla ghiaia alla sabbia, dal cemento all’asfalto. Segmenti tecnici in single-track alternati a lunghi drittoni su breccia, ma anche muri maledetti da superare a piedi. Molti i tratti a stretto contatto con i fiumi Lambro e Seveso, i laghi Alserio e Montorfano, il canale Villoresi e le dozzine di torrenti e rogge. (vista aerea qui)

Conclusa quella che è passata alla storia come l’Edizione Zero con 62 partecipanti entusiasti di un percorso tecnico e faticoso nella prima metà, veloce e più gentile nella seconda fase, piacevolmente stupiti di aver pedalato per quasi tutto il tempo su vie sterrate e/o ciclabili, posso tranquillamente affermare che questo viaggio dedicato alle ruote artigliate merita qualcosa di più che un singolo evento ogni prima domenica di dicembre, deve essere a disposizione di tutti in qualsiasi giorno dell’anno, quindi…

Private Edition

Private Edition significa quando e con chi vuoi, esiste da tempo per il GdD, da oggi Private Edition anche per la Tratturi Brianzalandia.

Come:

  • Lancia la tua sfida sulla pagina Fb TratturiBrianzalandia
  • scarica la traccia 2016 o 2017 qui
  • raggiungi il punto di partenza (Cusano Milanino)
  • segui la traccia
  • divertiti!
  • posta più foto possibile con il Tag #tratturibrianzalandia

Quale bici:

  • Gravel
  • Mtb
  • CX
  • SS
  • Fat
  • E-bike

Costo

Per noi non chiediamo nulla, vorremmo però che chi deciderà di partire per la Private Edition donasse qualcosa ad una Onlus operante nella sua città, un modo come un altro per fare del bene a chi ne ha più bisogno.

Che aspetti? PARTI!

Se vuoi maggiori info, agganciati alla pagina Facebook Tratturi
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31 Ottobre ’16 – Muretti Madness

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Riuscire a proporre qualcosa di più bello rispetto l’edizione dell’anno scorso era quasi impossibile… Quasi… ma i Cicloidi ce l’hanno fatta, il tracciato di quest’anno è la perfezione, il Nirvana.

L’anno scorso, grazie soprattutto all’aiuto di Michele che portò la mia De Rosa con sé, riuscii a prendere il treno prima dell’alba per poter essere al via della Muretti. Concluso il giro, ripresi il Freccia Rossa che nemmeno in due ore mi riportò a Milano. Quest’anno, in concomitanza del ponte di Ognissanti, non farò tutto in un giorno, ma raggiungerò Firenze il venerdì, morirò sui maledetti Muri il sabato, ed in compagnia di moglie e figlio, trascorrerò due giorni a zonzo per la Città dei Medici.

Porto Alfa o Bixxis? Alfa monta una mono 38 con il 40 denti come pignone più agile, Bixxis monta una compact 50/34 con un 29 come ultimo pignone.  L’anno scorso la mia vecchia De Rosa offriva un 39-29 come rapporto più agile, fu un delirio, quest’anno dovrò per forza giocare d’astuzia per portare a casa la pelle. Grazie ad un amico, riesco a procurarmi un secondo gruppo Rival mono-corona  da montare sulla Bixxis in sostituzione del Campagnolo, la guarnitura monta una corona da 42 denti, mentre sul pacco pignoni troverò “l’Hammer” delle ruote libere, un 42 denti come “pacco” più grosso, rapporto uno a uno, una pedalata, un giro di ruota… direi che con questo arsenale venderò cara la pelle … spero…

Ancora una volta abuso dell’immensa disponibilità di Gianni chiedendogli di switccare il gruppo prima della partenza per Firenze.  Con la bici pronta non ho più scuse, quest’anno alla Muretti il piede si metterà a terra solo in caso di infarto!

Quattro ore di permesso, carico bagagli famiglia e bici e qualche minuto prima delle diciassette siamo già in strada direzione Firenze. Il viaggio non è il massimo, interminabili code sulla tangenziale di Milano e mitragliate di stop sul valico appenninico rubano ore preziose al riposo pre-Muretti, la tabella di marcia riportava arrivo per le venti… mancano dieci minuti alle ventitré e sono ancora alla ricerca di un posteggio. Senza più speranze di trovare un buco, decido alla fine di abbandonare l’auto in un Garage vicino il B&B, così da poter correre in camera e calarmi finalmente nei preparativi pre-Muretti. Check bici, gomme, camere d’aria , abbigliamento, casco, gps… tutto pronto, posso andare a dormire.

Sveglia alle sei, dieci minuti alle sette sono già in strada. Sono quattro i chilometri che mi separano dal punto di partenza, facili perché devo solamente costeggiare l’Arno raggiungendo così piazzale Ravenna dove incontrerò gli altri partecipanti al giro. Il passaggio da Ponte Vecchio a quest’ora del mattino regala un atmosfera magica, senza alcun turista, con le botteghe ancora chiuse ed un filo di foschia proveniente dal fiume, sembra di rivivere una scena di Jack lo Squartatore in terra fiorentina. Vorrei scattare qualche foto, ma non so perché preferisco continuare a pedalare e raggiungere gli amici Cicloidi alla partenza.

Sono tra i primi ad arrivare, nemmeno il tempo di guardarmi intorno ed intravedo Giuseppe (padre della Gran Cartola), poi Davide, Giovanni (Mr MVV), Fabio, Marco, Daniele e via via tutti gli altri, saluto gli amici Cicloidi, ringrazio chi sarà di supporto, Roberto e Rachele su tutti, ma poi insieme ai miei compagni di ventura decidiamo di salire in sella e prendere questo Mostro per le corna, si parte!

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Sono 29 i GPM riportati sul “Garibaldi”, pochi indicati di colore chiaro, alcuni di colore rosso,  4 di colore nero, discorso a parte per il Mostro assoluto Monteripaldi, quest’anno inserito a meno cinque chilometri dalla fine, l’orgasmo tantrico per sadici di salite. Per fortuna il carattere usato sul bigino non aiuta a mettere a fuoco cosa ci aspetta, iniziamo dal primo ed andiamo in ordine, altro non possiamo fare!

Nemmeno il tempo di scambiare due battute e siamo già difronte alla prima rampa. Per quanto mi riguarda, i primi strappi sono utili per conoscere meglio il comportamento del mono-corona su pendenze a doppia cifra. Con mia grande sorpresa realizzo che la scelta del rapporto uno a uno corona-pignone non deprime la mia forza d’animo ma la esalta, potrebbe sembrare esagerato, soprattutto per ciclisti dotati di uno spunto in salita “normale”, ma per marcantoni come me, utilizzare rapporti molto più agili aiuta a salvare la gamba e tenere alto il morale.

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Spesso in gruppo, quasi mai isolati, ci diamo una mano sia nel seguire la retta via, che nel darci coraggio per portare la bici al di là dell’ennesimo muro. Da subito ci battezziamo “i Velocisti”, come accade nei giri a tappe, saremo il gruppo che chiuderà la carovana, attenti a non sforare il tempo massimo col minimo sforzo. In realtà il nome sottolinea la rapidità di alcuni di noi nel chiamare la sosta Bar, infatti, a nemmeno venti dalla partenza, il primo a chiamare la sosta sono proprio io. Dopo la salita chiamata “Strettoio”, alla fine di un tratto in discesa dipinto sulle dolci colline a nord di Firenze, intravedo un valido motivo per darci una carica di caffeina prima di affrontare i gemelli in black di Caldine. Nessuno protesta, sintomo che nel gruppo c’è armonia, giusto una manciata di minuti e si ritornerà a pedalare. Calata la prima tazzina di giornata, poco prima di ripartire, veniamo raggiunti da Michele e dal plotone dei Popolare… Baci, abbracci, battute, pacche sulle spalle, la sosta si sta prolungando forse troppo…  Dai ragazzi, dobbiamo andare, Montorsoli prima ed i due Caldine dopo ci aspettano!

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Per fortuna la gamba é ancora sana. Caldine effettivamente merita il voto massimo come cattiveria, ma a questo punto della Muretti non è in grado di annientarci quanto dovrebbe. Siamo uniti, siamo carichi, avanti il prossimo!

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Muretti Madness 2016

Raggiungiamo una prima volta la piazza di Fiesole, dove senza dirlo, scatta la seconda sosta. Qui il caffè viene accompagnato da una fetta di torta. Riprese le bici svoltiamo a destra per seguire una lunga discesa che ci porterà ai piedi di quella che l’anno scorso fu per me la mazzata finale, la Vecchia Fiesolana, breve ma terribilmente in piedi, una vera e propria parete che risale il colle sbucando sul fianco del Seminario Vescovile, lato ovest della piazza.

Scalata la “vecchia” non senza faticare, micro-sosta alla fontana per rabbocco borracce poi giù in picchiata per la strada nuova direzione Settignano, punto di ristoro organizzato dai Cicloidi. Siamo a metà della Muretti, il ristoro sarà un’ulteriore occasione per rifiatare e caricarsi di energia per la seconda parte del giro.

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Al contrario delle prime asperità, da qui in avanti ognuno di noi sale col proprio passo, ci si aspetta poi in cima, non si ha più la forza di rimanere compatti ed affiancati per condividere la fatica, la testa tende sempre più a chinarsi verso il basso per non guardare troppo in là, si smette di chiacchierare con i compagni e si inizia a parlare con se stessi, è importante ora più che mai non essere arroganti con le proprie forze, un fuori giri ora potrebbe segnare il tuo ritiro, si è appesi ad un filo invisibile che sancirà il successo o il fallimento non solo della tua partecipazione alla Muretti, importante ma non fondamentale, ma della tua forza d’animo, della tua determinazione, del tuo carattere.

Con l’esperienza di un veterano del pedale raggiunto il GPM, mi lancio a capofitto sulla discesa, la voglia di pennellare i curvoni, la ricerca della velocità, mi fanno dimenticare il ristoro… bravo pirla… fortuna che ci si doveva aspettare in cima e proseguire compatti…

Finita la libidine dell’alta velocità, con Via delle Rose davanti al mio Garmin, realizzo di aver fatto una cazzata. Guardandomi intorno incrocio lo sguardo di Davide, Fabio, ma di Giovanni e i “Foppa” nessuna traccia, è probabile che loro si siano fermati al “Cicloide Ristoro”, mentre noi qui lo abbiamo saltato in pieno.

Fame! Guardandoci intorno, scorgiamo il passaggio di quella che dovrebbe essere la statale Aretina, qualcosa da mangiare lo troveremo su una statale… Un chiosco! quasi fosse un miraggio nel deserto, appare difronte ai nostri occhi, il menù, appeso sulla fiancata del furgone, è enorme e pieno di proposte… ci siamo salvati stavolta!

Divorato il panino, con il gruppo velocisti ricompattato, riprendiamo il percorso da dove lo abbiamo lasciato, via della Rosa.

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Un po’ legnosi, digestione in corso, un po’ a zig zag, dopo Rosa saliamo Montegirone, per l’esattezza Via del Crocifissalto, segnato in rosso solo per un problema di stampa. A questo punto del percorso, i Cicloidi ci regalano una tregua inserendo un breve ma prezioso tratto pianeggiante per raggiungere l’estremo sud della Città, dove si ritornerà a salire verso la frazione di Quattro Vie, indicata sul vademecum come Bigallo, il quinto settore in nero di giornata. Siamo a 78 chilometri macinati e 32 ancora da fare. La situazione è tragica ma non grave, gli sguardi sono fissi a terra, si cerca con la coda dell’occhio le ruote dei compagni, le traiettorie si incrociano disegnando sull’asfalto veri e propri tornanti su rettilinei infiniti, il Garmin, almeno il mio, smette di registrare perché l’andatura è inferiore al limite minimo dei 5 km/h, infine, tutti rispettano la regola non scritta per queste situazioni, divieto assoluto di guardarsi in faccia, l’espressione di sofferenza del tuo compagno potrebbe esserti fatale, meglio non rischiare!

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Le soste sono sempre più frequenti, non tanto ai Bar come accadeva prima, ma ovunque, delle vere e proprie pause per recuperare gli ultimi barlumi di energia, la Ragione ci ha abbandonato da tempo, è il Cuore che detta il passo ora.

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Gli ultimi muri hanno dallo loro pendenze proibitive concentrate in poche centinaia di metri, la loro posizione, la vista che offrono, ci aiuteranno a non mollare. San Miniato, con il premio la splendida vista da Piazzale Michelangelo, Belvedere, parete di 200 metri a fianco delle vecchie mura della citta, Luigiana, malefica ma al tempo stesso magnifica stradina protetta da interminabili muretti a secco, ed infine il MOSTRO della Madness, Monteripaldi, un chilometro scarso, con punte al 26%. Così come l’Arenberg, anche Monteripaldi ha la sua porta, un benvenuto alla salita impossibile, pura ignoranza in dono ai ciclisti.

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L’anno scorso vinse Lui…

Appena passata la volta in mattoni, il mio Garmin entra in pausa, troppo lento. Al mio fianco Marco, che involontariamente mi impone un ottimo passo per i primi metri del Demone. Più avanti Fabio che negli ultimi chilometri è come rinato e sfoggia una gamba che il resto del gruppo si sogna. Avanti due bici rispetto a noi Davide, il Granatiere di Imola che forte della sua immensa potenza sale il Ripaldi seduto, fidandosi esclusivamente delle sue gambe, dietro di me, credo, Giovanni e Daniele a chiudere. Il 42 42 svolge appieno il suo sporco lavoro, in piedi, con il viso ad una spanna dall’anteriore, riesco con mia grande sorpresa ad avanzare. Sul ciglio recuperiamo tre pischelli della Pop, aggrappati ai freni per non indietreggiare, fermi alla ricerca di una giustificazione al loro fallimento… se vi vedesse Chief…

Per quanto riguarda noi anziani, un secondo prima di mettere il piede a terra, arriva uno “Spiana!” dall’alto dei cieli che ci rinvigorisce e ci fa spingere ancora una volta questo pedale pesantissimo, centimetri rubati ma anche ore di vita consumati in una manciata di secondi … la parte dura è ormai alle spalle, caro mio, mi spiace, ma questo giro l’ho vinto io!

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La fine del tratto duro coincide con una leggera svolta a destra dove si percorre una passerella che premia i vincitori donando alla vista un panorama mozzafiato sulle colline attorno Firenze. Giunto sul culmine ritrovo Fabio, sorridente, Davide, abbastanza provato ma contento, dietro mi raggiungono gli altri compari di oggi, tutti devastati ma soddisfatti, insieme abbiamo fatto una gran bella cosa, abbiamo esorcizzato la Muretti!

Dolce discesa e poi finalmente i piatti vialoni di Firenze, siamo alla fine.

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Al quartier generale di Ciclica troviamo tutti i nostri amici, i ragazzi dello Staff sono a pieno regime per offrirci un buon piatto di pasta accompagnato da un’ottima birra appena spillata. I Cicloidi, oltre ai complimenti, ci regalano gadget offrendoci  la possibilità di ricevere il berretto evento 2016. Molti sono i brevettati al Trittico, finisseur di  Martesana Van Vlaanderen, Coppa Asteria e Muretti Madness, io non sono uno di questi ma poco conta, l’importate è che queste manifestazioni siamo di stimolo non tanto a chi macina decine di migliaia di chilometri l’anno, ma a chi parte mettendo in gioco tutto se stesso senza avere la certezza di uscirne vincente, i miei preferiti.

All’anno prossimo Cicloidi, come detto all’inizio, non era facile superarsi… ci siete riusciti alla Grande!

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Foto: @MaxBigAndrews @Tornanti_cc @Bikescapes
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15 Ottobre ’16 – La Gran Cartola

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Ore 7:20 sono al posteggio della Stazione di Bologna. Un salto al Bar per un caffè, poi inizierà la vestizione.

Ore 8:00 mi presento al punto di incontro, la Velostazione Dynamo, a pochi passi dalla scalinata del Pincio, inizio del Viale dell’Indipendenza.

Ci siamo, sono carico al punto giusto per assaggiare le rampe malefiche della Gran Cartola, il primo sarà il San Luca, ancora in città, a seguire una serie di 13 salite sparse sui colli bolognesi che porteranno il dislivello totale a sfiorare i 2500 metri in soli 120 chilometri, una bella sfida!

Avere la Cartola a Bologna vuol dire essere di un’altra categoria, e “la Gran Cartola” vuole essere un giro in bici di un’altra categoria, quella del ciclismo spacca gambe che se ne frega di KOM, QOM, segmenti Strava, Watt e patacche varie… questa almeno è la filosofia che Giuseppe, l’ideatore, vuole imprimere alla sua creatura.

Dopo essermi registrato inganno il tempo chiacchierando con i miei compagni d’avventura, Fabio, compare di notturne disputate dalle nostre parti, e Davide da Imola, Granatiere di un metro e novanta che accompagnato da una splendida Salsa Colossal ci fa capire che il marcantonio qui davanti è sulla nostra stessa onda, due ruote, due pedali ma soprattutto buona compagnia e perché no, ristori con gambe sotto al tavolo accompagnati da un buon bicchiere di vino…

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La partenza è fissata per le nove, il tempo è molto Scottish, qualcuno lo chiamerebbe Belgian weather, per ora non piove e questo è abbastanza per non trasformare la Cartola in un incubo!

Si parte in gruppo, una quarantina scarsi. Davanti i locals in racer mood , noi in coda con tutt’altro spirito. La prima dei colli da superare sarà appunto il San Luca, due chilometri con tratti abbondantemente sopra il 15%, non male come prima cotê. Giunti ai suoi piedi carico subito il pignone più agile e con l’ormai collaudato passo risalgo in compagnia dei due soci la prima asperità. Sul lato della strada corre per tutta la sua lunghezza un porticato utilizzato dai pellegrini per raggiungere il Santuario della Madonna di San Luca. Questo, arricchito con 15 cappelle e 666 archi, secondo alcuni rappresenterebbe una serpe che termina il suo strisciare proprio ai piedi del Sagrato della Basilica, richiamando così l’episodio della Genesi dove il Diavolo tentatore venne sconfitto dalla Madonna schiacciato sotto il suo calcagno.

A parte i riferimenti biblici, grazie al fatto che ci troviamo alla prima salita, ma soprattutto grazie alle grida di incitamento dalle numerose scolaresche, ci carichiamo ancor di più nel rilanciare la bici ed andare subito a caccia della prossima salita, battezzata “Via del Genio”.

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Anche qui, come a Firenze con la Muretti (i primi ad introdurlo), ad Inzago con la Martesana Van Vlaanderer ed a Bergamo con la Coppa Asteria, è stato consegnato ad ogni partecipante un “Garibaldi”, l’elenco delle salite con riportato il livello di difficoltà, un’idea ripresa dalle grandi classiche del Nord con un pizzico di originalità nelle icone, Mortadella a Bologna, Teschi alla Muretti, Madonne alla Asteria e Leoni alla MVV. Per quanto riguarda la Gran Cartola, delle 14 salite segnalate, ben 5 riportano livello 5, 3 livello 4 ed altre 3 livello 3, non male, d’altronde come ha ben detto Giuseppe prima della partenza,  qui si viene per spaccarsi le gambe, non per fissare nuovi record sul proprio ruolino!

Via del Genio riporta 3 mortadelle, è una delle vie più esclusive di Bologna, al confine tra pianura e collina, una strada impreziosita da maestose Ville con splendidi giardini, tortuosa come uno Stelvio ma allo stesso tempo gentile, l’ideale per accompagnarci fuori dalla città e prepararci ad affrontare il vero cuore della Cartola, gli Appennini, protagonisti assoluti di oggi.

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Usciti indenni da questa seconda, senza alcun tratto in pianura siamo di nuovo a pedalare sul rocchetto più agile per risalire in sequenza Gaibola, San Vittore e Via delle Lastre, l’ideale per cucinare a dovere le già stanche membra di noi avventurieri. La settima di giornata è chiamata Via Sant’Andrea di Sesto, battezzata con 5 fette, qui è facile lasciarci qualcosa di più che del semplice sudore… qui si soffre…

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Una volta lasciato Paderno, non senza fatica, svoltiamo a destra e ci immettiamo sulla via gemella alla più famosa provinciale 65, detta anche la Strada della Futa, il valico appenninico ormai ad uso esclusivo di ciclisti e motociclisti. Ci rimaniamo solo un paio di chilometri, giusto il tempo per rifiatare un attimo prima di trovarci faccia a faccia con un vero e proprio muro. L’impatto è forte, deprimente per certi versi, dopo il San Luca, questa è la seconda salita a meritarsi il massimo del ranking … il Cuore della Cartola sono gli Appennini, beh, questa è sicuramente una delle sue arterie.

Non bastasse, il buon Giuseppe ha pensato bene di infilarci immediatamente dopo una rampa seconda a nessuno, la salita di Ancognano, altri cinque chilometri scarsi con parecchi tratti a due cifre e punte ben oltre il 16%. Siamo a 55km dalla partenza, il Garmin segna più di 1600 metri di dislivello macinati, non so gli altri, ma io inizio ad accusare il colpo…

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Ricompattati, o meglio, recuperati i miei compagni, ripartiamo in direzione sud, alla ricerca di un Bar possibilmente munito di tavola calda. Purtroppo da queste parti non è facile trovare un esercizio aperto, le uniche insegne che si incontrano appartengono ad un via vai che non esiste più, forse per colpa delle autostrade, forse per colpa di chi non ha più tempo di godersi il viaggio ma vuole arrivare solo a destinazione… un po’ come capita nel ciclismo, o magari come sta capitando proprio oggi, con quelli davanti a menare come pazzi per tornare a Bologna il prima possibile, e quelli come noi che a Bologna non ci vogliono tornare, perché significherebbe fine della Gran Cartola.

Al di là del bel pensiero, bisogna comunque fare i conti con la propria preparazione, ho cercato di infilarci dei lunghi per presentarmi al via con un fondo discreto, ma quando i tratti in salita sovrastano i tratti in pianura, la forza della gravità diventa prepotente e mi presenta il conto azzerando tutti i miei buoni propositi.

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Giunti alle porte di Sasso Marconi, sfiorato il centro abitato, deviamo verso sud per attaccare la salita di Badolo. Sono sei chilometri facili facili, ma sfortunatamente per me lo sconforto inizia a prendere piede,  amplificato dai dolori provenienti della zona lombare, la più sollecitata quando si spinge in salita senza mai alzarsi sui pedali. Con me è rimasto Davide, anche se non ci mette molto a lasciarmi indietro visto che il mio passo è ormai ridicolo, la difficoltà ad avanzare arriva più dalla testa che dal limite della mia preparazione. Se non mi sbaglio in cima a questa salita ci sarà il ristoro, prima mangio, bevo una birra, e poi decido cosa fare, se continuare sul percorso o scegliere la via più breve per Bologna. Mi sono ripromesso che il piacere di andare in bicicletta deve restare sempre al primo posto, “l’ammazzarsi” per portare a termine un giro non è più nelle mie corde, soprattutto quest’anno che non sono stato costante nelle uscite.

Va bene così, potrebbe andare peggio? Sì!

Sta di fatto che a Badolo ci devo arrivare…

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In qualche modo raggiungo il paesiello, ma al contrario di quello che credevo, il ristoro non è qui, ma a Brento … cazzo…

Beh, sono solo due chilometri e mezzo, che sarà mai!?

Alla fine, dopo venti minuti d’agonia, raggiungo gli altri alla Vecchia Trattoria Monte Adone. Non penso di avere una bella faccia, ma come da programma, chiedo all’Oste una buona birra e da mangiare, poi vediamo…

In sala a farmi compagnia ritrovo l’amico Giuseppe, Fabio, Davide, i tre PopBoys ed altre ragazzi, compreso un ciclista norvegese, siamo solo a 80 chilometri dalla partenza ma con 2000 metri di salita macinati, la fatica affiora anche ai più allenati. Finito il secondo panino, e l’ottima birra, dichiaro il mio forfait al branco, anche se aver mangiato qualcosa mi ha aiutato, non ho più voglia di affrontare altre salite, preferisco prendere la via più semplice ed aspettare all’arrivo chi completerà il giro. Per curiosità chiedo al Patron Giuseppe cosa manca per chiudere la Cartola. Le salite sono quattro ma mi basta ascoltare le caratteristiche dell’accoppiata Scascoli – La Guardia per essere ancora più convinto della scelta fatta. Con me si aggregano altri cinque, chi per motivi di orario, chi per una giornata no. Ringraziamo Giuseppe che riparte con gli altri amici, mentre noi, dopo un buon caffè, ci buttiamo sulla direttissima per Bologna, una lunga e dolce discesa senza nemmeno un cavalcavia.

Raggiunto Pianoro sento come d’incanto che la stanchezza lascia il passo alla voglia di pedalare, forse se mi fossi alimentato prima avrei potuto continuare il giro, il morale sarebbe rimasto alto e sarei riuscito a terminare la Cartola degnamente …. Forse… Mah… l’anno prossimo vedrò di organizzarmi meglio…

Bologna, vialoni, semafori, bar e come per magia la vista della Stazione Centrale. Ci siamo, la Velostazione è qui davanti a noi, la fine di una giornata particolare, una giornata vissuta in compagnia di vecchi amici e nuovi compari conosciuti su strade mai percorse prima, una gran bella esperienza.

Dentro alla Dynamo lo staff della Gran Cartola è al lavoro offrendo a tutti noi da bere e da mangiare, acqua o birra accompagnate da enormi fette della tipica Crescenta bolognese imbottita di mortadella, mai premio fu più desiderato!

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Non passa nemmeno un’ora ed arriva il “mio” gruppo,  dei velocisti mi viene da dire, perché è quello che nelle tappe di montagna chiude la carovana, tutti stravolti ma felici, stanchi ma soddisfatti, orgogliosi di aver portato a termine l’Edizione Zero della Gran Cartola.

Rimango qualche minuto a chiacchierare con gli altri ma poi alla fine mi convinco che prima si parte, prima si arriverà a casa dove una calda doccia e un meritato riposto mi aspettano.

Ancora grazie Giuseppe per averci omaggiato della Gran Cartola, grazie a chi ha pedalato con me ed a chi è stato di supporto con gli scooter, ai fotografi ed alla squadra della Velostazione.

All’anno prossimo, spero più in forma!

Ci si vede alla Muretti!

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11 Ottobre ’16 – Gravel (mah…)

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Dopo i vari test, e le ore passate ad osservare le immagini satellitari per scovare passaggi inediti, la traccia di quello che dovrebbe essere il percorso definitivo è pronta. Serve solo una verifica integrale e poi si potrà finalmente proclamare al Mondo che  il prossimo 4 dicembre si disputerà la prima edizione della GravelBrianzalandia, quella che passerà alla storia come la Gravel del Degrado.

In sintesi 120 km con 1.500 metri di dislivello, decine di siti archeologici industriali della Brianza che non c’è più, discariche abusive della peggior specie e le immancabili signorine in attesa di adescare gli sfortunati viandanti…. Tutto questo sarà GravelBrianzalandia… almeno spero.

In sella alla ormai inseparabile Alfa Mia parto all’avventura.

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Il tratto da Cusano ad Alserio è ormai un classico per me, giusto un passaggio dopo Agliate andrebbe modificato per evitare 300 metri di statale che ti espongono ad un traffico arrogante e poco rispettoso del ciclista. Mi impongo un passo tranquillo, la strada è lunga e visto che il tratto inedito è notevole, ci sarà occasione di fare chilometri in più per recuperare la strada di casa. Anche se ha piovuto nei giorni scorsi, il terreno è pressoché asciutto e compatto, sono poche le pozzanghere ed ancora meno i tratti di vero fango.

A Monguzzo sosta al Bar Sport, titolato, a loro insaputa, come primo ristoro della Gravel di dicembre.

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Strappetto per recuperare la chiesa del paese e poi giù di nuovo sullo sterrato per raggiungere la riva del lago di Alserio. Castagne ovunque, riempio le tasche e rilancio, oggi sono una roccia!

Dal paese di Alserio un tratto di asfalto per attraversare prima Parzano e poi Saruggia dove, appena fuori le porta, si mostra fiero di sé il rilievo di Montorfano, collina di origine morenica che deve il suo nome proprio alla sua strana posizione, lontano dalle altre cime prealpine.

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Raggiunto il lago ai suoi piedi, realizzo che la vera sfida inizia qui. La traccia da qui a Lentate è stata disegnata seguendo vie indicate da altri bikers, non ho assolutamente idea di quello che mi aspetterà, se sarà pedalabile o dovrò fare del trekking con bici in spalla… poche chiacchiere, prima mi butto, prima saprò di cosa morire.

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Senza entrare nel dettaglio i successivi 40 chilometri sono sostanzialmente l’essenza della Demenza.

Più di una volta mi sono trovato a sfondare pareti di vegetazione per poter proseguire per quella che reputavo la direzione giusta, boschi verticali seguiti da trincee scavate da ruscelli che fortunatamente per me in questo periodo sono ancora in letargo. Fuga da cani incazzati che hanno eseguito alla lettera gli ordini dei loro padroni respingendo, a morsi, chiunque, anche loro malgrado, avesse solcato al sacra terra di famiglia. Scivoloni da principiante su fanghiglia, passaggi abusivi attraverso cantieri abbandonati, e molto, molto altro…

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Questi quaranta chilometri mi sono costati una decina di escoriazioni, quattro tatuaggi di canini canini e 4 ore abbondanti della mia vita… alla vista del cartello “Comune di Lentate sul Seveso”  ho quasi pianto, la fine di un incubo, ho pensato.

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Sosta per un meritato caffè e poi di nuovo in sella per l’ultimo tratto, l’intero Parco delle Groane dal confine nord sino alla stazione di Garbagnate Milanese, dove avrei agganciato il Canale Villoresi per recuperare prima Nova e poi Cusano.

Alle 18:15 sono davanti il cancello di casa, 130 chilometri, 1500 mds, 10 ore trascorse di cui otto scarse in movimento. Gran bella mazzata, ma sono soddisfatto, nessuna crisi, gambe che sino all’ultimo hanno girato come un orologio e soprattutto una forza mentale inaspettata. Sabato, se tutto andrà come deve, sarò a Bologna ospite dell’amico Giuseppe Misurelli, ideatore de “La Gran Cartola“, 120 km con 3000 mds tutti intorno alla Sua città, una Muretti Madness sotto la Torre degli Asinelli.

“Ti spiezzo in due Cartola”

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14 Luglio ’16 – ALFA (Mia)

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Il primo amore non si scorda mai… se il secondo non è una cavalla di razza…

Da oggi comincia una nuova storia d’amore, meglio dire di sesso.

L’ho battezzata Mia, telaio sartoriale che gli amici di Alfa mi hanno cucito addosso. Set di tubi Columbus Spirit (mondo Corsa) e Zona (mondo Mtb) saldati a Tig su un unico telaio, serie sterzo conica accompagnata da una forcella full-carbon asimmetrica prodotta da 3T Cycling, geometria corsa con scarpe gravel, una specie di Dr Jekyll & Mr Hyde. Molti i richiami ai dogma dei grandi telaisti, movimento centrale da 68 mm, tubo piantone 72,50°, orizzontale parallelo al terreno, pendine forcellini pantografate, diametro canotto sella da 27,2, nessun collarino reggisella ma le più classiche asole saldate al tubo piantone, sull’anteriore, per non ostacolare il bikepacking. Per la parte Gravel, Mr Hyde, carro posteriore a 43,50, altezza da terra 27,50 cm, perno passante su entrambe le ruote con l’indispensabile impianto frenante a disco, infine terzo porta portaborracce sull’obliquo, una chicca. Tutto questo shakerato con maestria per poggiare sulla vera figata del progetto, la libertà di utilizzare set di ruote differenti a seconda delle necessità, da 27.5 (650b) con pneumatici di grossa sezione, per un uso Trail-Divide, o le più tranquille 700c accoppiate a gomme slick o leggermente artigliate per un uso più stradale/cicloturistico. Due in una, una per due.

Per il gruppo abbiamo deciso di montare Sram Rival 1 con pacco pignoni Shimano XT 11 rapporti, 38 denti sulla guarnitura, 11-40 per la cassetta, mentre l’impianto frenante Avid BB7 è comandato da leve Rival meccaniche. Trittico attacco-piega-reggisella 3T-Cycling, portaborracce King-Cage steel. Le ruote, per ora le titolari sono le DT Swiss Spine M1700 27.5 con gomme Schwalbe Thunder Burt da 2.25, tassellate ai lati meno aggressive al centro, per le 700, stiamo ancora valutando la migliore soluzione per Mia… dimenticavo i pedali, Crank Brothers Candy 2.

Discorso a parte la verniciatura. Qui Giovanni ha voluto esagerare oltre ogni limite. Trattandosi di un telaio su misura, unico, non di serie, anche il colore doveva essere esclusivo, irripetibile. Di base sono stati scelti due colori, un arancio citrus ed un giallo corn, il primo dominante nella parte anteriore, il secondo più gentile ma non meno imperante nella parte posteriore. In primo piano, un caos organizzato di mille sfregi di colori diversi, con l’unico obiettivo di trasformare la staticità di un “dipinto” in un arabesque psichedelico, un’alterazione sclerotica al bulbo oculare.

Il risultato nel suo insieme è impressionante!

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All-terrain è riduttivo… la chiamerei DDI – Disturbo Dissociativo dell’Identità, la bici dalle mille personalità.

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Non vedo l’ora di perdermi con Lei oltre i confini del Mondo…

 

 

More info http://www.Alfa-Cicli.ch

Foto by @Granciclismo

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15 Giugno ’16 – A spasso con BigA Sr

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All’incirca un anno fa raggiungevo la cima del Passo Spluga in compagnia di Giovanni e dell’amico Francesco. Fu una giornata particolare, tempo trascorso in ottima compagnia in una delle location più suggestive della Lombardia. Ancora oggi ho vivo il ricordo di quel piatto di pizzoccheri ricevuti come premio dopo la faticata nel raggiungere la vetta.

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Quest’anno vorrei alzare l’asticella, non fermarmi ai 2.113 metri del GPM, ma scendere in Svizzera e percorre un anello affrontando AlbulaPass, più sicuro e suggestivo rispetto allo Julier, attraversare l’Engadina, e raggiungere Chiavenna discendendo il MalojaPass.

Dopo essermi confrontato con Chief, mio alfiere all’Asteria private-edition, finesseur dello stesso ring giusto qualche giorno fa pedalando i 190 chilometri con 4.000 metri di dislivello in poco più di 10 ore, mi sono convinto, e mi ha convinto, che non è del tutto fuori dalla mia portata… è un azzardo, ma se solo riuscissi ad anticipare di molto la partenza,  a gestire ogni singolo tratto con la giusta esperienza, potrei pensare di chiudere il giro tra le 13 e le 15 ore, prima che la luce mi abbandoni e le tenebre prendano il sopravvento.

Deciso! giorno di ferie, sveglia alle 4:00! devo essere a Chiavenna prima delle 6:00 per poter sfruttare al massimo la luce del giorno.

“De per tì, te ve no! Te vegni adré cunt la macchina” –  “da solo non ci vai, ti seguo io in auto”. Così ha sentenziato Andreoni Senior dopo aver realizzato quanti chilometri e quanta salita avrei dovuto affrontare da solo, pur conoscendo la mia testardaggine, questa proprio non l’avrebbe fatta passare. Come Garibaldi dinnanzi Vittorio Emanuele II, anch’io sono stato costretto a chinare la testa e rispondere “Obbedisco!”. In verità è da qualche tempo che vorrei passare una giornata padre/figlio soli su strade di montagna, questa è l’occasione giusta per realizzarla…

Seguire un ciclista con l’auto è impegnativo quasi quanto pedalare. Per evitare di trasformare una gita in un incubo, decido di affrontare in bici le sole salite, tutti i trasferimenti, e le discese, saranno in auto, questo per ottimizzare al massimo il tempo, ma anche per trascorrere più tempo con il “Capitano”.

Analizzando le performance di Chief e calcolando i tempi di passaggio con l’auto, si potrebbe prendere in considerazione l’idea di aggiungere il Bernina, sempre se ci sarà ancora benzina nelle gambe… Iniziamo a partire, poi si vedrà. Con l’uscita di sabato a Piano Rancio sono sufficientemente convinto che almeno lo SplüghenPass si possa affrontare con un certo “stile”. Discorso diverso sull’Albula, qui sono quasi certo che riemergerà l’inconfondibile passo dell’orso, figuriamoci sul Bernina poi…

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7:30 siamo a Chiavenna, il meteo per ora è dalla nostra, dopo un caffè e una fettina di strudel alle 8:00 in punto può cominciare la nostra avventura, io attaccando le prime rampe dello Spluga, il Capitano poco dopo in auto sostando di tanto in tanto per scattare foto ed ammirare il panorama.

Fin dall’inizio impongo una cadenza di pedalata che garantisca un passo costante per tutti i 30 chilometri della salita, vorrei arrivare al GPM senza fermarmi, con un cardio vicino ai 150 bpm sono abbastanza certo di evitare, almeno per questa prima salita, momenti di crisi vera.

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Il traffico è pressoché assente, l’unica auto che risale il Passo è la Polo bianca di mio Padre. Sbirciando nell’abitacolo quando mi supera, e lanciandogli un’occhiata quando è intento a fotografarmi, ho l’impressione che si stia divertendo molto più lui di me che sono in bicicletta… ovviamente…

Raggiungo Campodolcino con estrema facilità, qui un breve tratto di falsopiano prima di arrivare allo spettacolo del cavatappi dello Spluga. Sarò sincero, l’emozione non è la stessa dell’anno scorso, forse perché la prima non si scorda mai, o forse perché ritrovandomi solo, sono più concentrato sul ritmo che sulle bellezze che mi circondano, non saprei…

Affidabile come un Angelo Custode, appena fuori l’ultima galleria, ritrovo sul ciglio l’ammiraglia in attesa del mio passaggio.

Tutto bene?

Tutto ok, aspettami al bivio per Madesimo, da lì mancheranno ancora 11 km al GPM.

Ok, vado.

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Pur salendo in altitudine, la temperatura non scende mai troppo per richiedere l’uso della mantellina, anzi, aver messo la Torm merino è stato il compromesso migliore come protezione e traspirazione, potrei anche abbronzarmi se il tempo tiene…

Senza alcun tentennamento raggiugo la grande parete della diga dello Spluga, qui un lungo tratto in pianura e poi l’ultimo strappo per raggiungere i 2113 metri del passo. Il passaggio da Monte Spluga mi ricorda un set di un film Western, fila di case ai lati dell’unica via di transito, una chiesa, qualche bar (saloon) e subito là davanti la fine di quello che a detta di alcuni è l’abitato italiano più lontano dal mare… il comune più lontano è Madesimo, ma questa frazione è ancora più a nord. Siamo a 1910 msm, l’aria è frizzante, e l’altitudine, se pur minima, non da alcun fastidio, uno sprint di un paio di chilometri ed il GPM sarà mio!

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Con un pubblico di marmotte ai lati degli ultimi tornanti, conquisto il passo staccando pure un gran tempo! Soddisfatto e felice, raggiungo Leonzio che da qualche minuto attende paziente il mio arrivo per immortalare con la Sony questa prima scalata over 2000.

Giusto un paio di minuti per qualche scatto, mi cambio subito con indumenti asciutti per evirare un colpo d’aria, siamo sempre in alta montagna e rimanere bagnati in manica corta non è certo intelligente.

Mio padre è carico, io sono carico, possiamo dunque infilare la bici in macchina e continuare la nostra avventura in terra crociata.

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Splüghen, riemergono ricordi di intere giornate passate sugli sci a combattere con delle “àncore” troppo basse per mio padre, troppo alte per il fondoschiena di un bambino. Si andava a sciare in Svizzera perché costava di meno, una volta… Qui un buon caffè è sacrosanto! Caffè lungo per me, macchiato per Leo. Dimenticavo, il Svizzera se vuoi un caffè come lo intendiamo noi devi chiedere un Espresso, altrimenti di arriva un beverone di mezzo litro…

 

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Salutiamo Splüghen puntando Thusis, direzione Nord-ovest. La strada è fantastica, oltre a costeggiare laghi di color rubino ed attraversare gole così strette che le vette sopra le nostre teste sembrano toccarsi, incontriamo di tanto in tanto dei ciclisti, molti carichi di borse e saccopelo, quasi nessuno pedala su full-carbon in tenuta Rapha extralight, hanno sempre il sorriso sulle labbra, ed il loro sguardo è sempre rivolto al cielo per godere ogni singolo istante del loro viaggio… ho un pizzico d’invidia nei loro confronti, uno stato mentale che vorrei raggiungere per definirmi finalmente un ciclista maturo.

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A Thusis deviamo a destra per raggiungere Tiefencastel, bivio e punto di partenza ufficiale per AlbulaPass e JulierPass. Il nostro programma prevede di ricominciare a pedalare da Bergün, 17 km più avanti, dove l’AlbulaPass inizia ad aver senso,  da qui mancheranno 14 km con quasi 1000 metri di dislivello per raggiungere il valico.

Dopo una birra ghiacciata ed un tradizionale caffè-beverone all’Hotel Weisses Kreuz, tiriamo giù la bici e ci prepariamo per il secondo over 2000 di giornata, l’AlbulaPass con i suoi 2.315 metri sul livello del mare.

La partenza è su un pavé che attraversa l’intero centro abitato, ma poi, dopo nemmeno un chilometro, la strada si impenna su pendenze vicino il 9% mollando solo per brevi tratti. Causa il lungo trasferimento, causa la mia poca preparazione, questa seconda salita si fa sentire, non tanto nelle gambe, ma nel fiato, che tende da subito ad oltrepassare il limite che mi sono imposto come regime ideale per raggiugere il GPM senza troppo penare. Adeguo immediatamente il passo e tengo sotto controllo il battito cardiaco, la velocità sarà di conseguenza, poco importa.

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Più di una volta si condivide la salita con i binari della linea ferroviaria, gallerie, tornanti infiniti che poggiano su enormi ponti che aiutano il trenino rosso a guadagnare metri verso il Passo, uno spettacolo di ingegneria e genialità che non danneggia affatto il paesaggio, ma lo esalta evidenziandone la sua bellezza. A Preda la retica mi saluta lasciandomi solo sulla via verso i 2300 del Passo. Qui inizia anche il tratto più spettacolare dell’Albula, risalendo la parete del  Cresta Mora, pini ed abeti lasciano spazio alla roccia nuda, a volte colorata da arbusti e licheni dai colori più disparati, trasformando questi ultimi metri in un paesaggio lunare, in alcuni tratti ricorda vagamente il Gavia. La temperatura è scesa parecchio, dietro di me sta arrivando una perturbazione che non promette nulla di buono, si sentono tuoni in lontananza, e visto che siamo in montagna, è il caso di farsi trovare al riparo prima che apra il rubinetto e scarichi acqua gelida sopra le nostre teste.

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Stile, andato, cardio, fuori controllo, raggiungo i 2.315 metri nel miglior modo possibile. Ad attendermi il Capitano che, soddisfatto quanto me, mi ritrae nella più classica delle foto con il cartello AlbulaPass al mio fianco. Mi guardo attorno… gran bel posto… bella salita… bella compagnia… ma per oggi basta così, carichiamo la bici in auto e mangiamo finalmente qualcosa di caldo.

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Una volta sfamati e riscaldati a fianco di una magnifica stübe nel Rifugio sul Passo, risaliamo in auto per guadagnare il paese di La Punt-Chamues, dove si deciderà se deviare per Pontresina e scalare il Bernina, oppure tirare dritto per il Maloja e scendere su Chiavenna.

Giunti in Engadina la scelta non è affatto complicata, piove già da qualche chilometro, nel fondo valle ci infiliamo in una vera e propria bomba d’acqua, quindi niente Bernina e via diretti verso casa, 45 chilometri di “salita in purezza” con 2700 metri di dislivello sono più che sufficienti per questo mercoledì di metà giugno. Prima di lasciare la Svizzera però, ci fermiamo in Farmacia per comprare un prodotto miracoloso a base di erbe usato da mio padre per combattere il raffreddore, in Italia non si trova e visto che siamo qui, perché non approfittarne?

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Il tempo peggiora sempre più, la grandine potrebbe arrivare da un momento all’altro… speriamo di evitarla per non danneggiare l’auto. Raggiunto Maloja iniziamo la discesa, passati la Dogana, oltre ad essere entrati di nuovo in Italia, anche il brutto tempo sembra essersi fermato al di la della frontiera, qualche goccia ancora, ma nulla di drammatico. A Chiavenna sosta per un caffè degno del suo nome!

Sulla strada verso casa si chiacchiera del più e del meno, io sono abbastanza stanco, mio padre sembra carico come al mattino, questa giornata in alta montagna gli ha fatto proprio bene.

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18:30 arriviamo a Cusano, 400 e più chilometri su strade uniche che solo la Montagna può regalare.

Anello Spluga-Albula-Maloja in bici da solo, un’impresa.

Anello  Spluga-Albula-Maloja con Leonzio sull’ammiraglia, una figata!

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A night with…

Primavera, tempo di notturne…

21 Aprile ’16 Consonno

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24 Maggio ’16 Cornizzolo

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07 Giugno ’16 Valcava

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