Gravel : tradotto dall’inglese “Ghiaia”.
Gravel Race : tradotto dall’inglese “dal punto A al punto B evitando possibilmente asfalto, centri abitati e qualsiasi comodità che la nostra civiltà offre. “
Autosufficienza, spirito d’avventura, fuga dalle grandi città, pochi fronzoli tutta sostanza sono gli elementi che racchiude l’idea di base di una Gravel Race. Come al solito gli americani ci sono arrivati già da anni, noi in Italia siamo ancora agli inizi, anche se qualcuno è già sul pezzo da tempo, io personalmente ne sono venuto a conoscenza solo da qualche mese, da quando l’amico Giovanni ha realizzato da un Suo personalissimo progetto il primo telaio, primo di una serie, con geometrie destinate ad un uso “border-road”, gravel appunto.
Le differenze rispetto ad un telaio da corsa sono evidenti, è forse più facile prendere come punto di partenza un telaio da Ciclocross moderno, ampi spazi tra forcella e gomma, per poter montare copertura di grande sezione e parafanghi, carro posteriore più lungo, per una maggiore stabilità e possibilità di utilizzare coperture artigliate importanti, predisposizione per ancorarci portapacchi, e l’ormai irrinunciabile impianto frenante a disco, idraulico o meccanico poco importa. Infine con un movimento centrale alto quanto una “specialissima”, la posizione in sella rimane più simile ad un strada che ad una pura Mountain-bike, piega corsa, guarnitura 46/34, cassetta pignoni con un 28 senza vergogna chiudono il prodotto all-terrain.
Da qualche tempo l’onda “fangosa” aveva catturato la mia attenzione, le simulazioni di Ciclocross nel vicino Parco Nord hanno poi preso il sopravvento alle uscite su strada, testimonianze lampanti che ormai anche io sono entrato a far parte di questo piccolo Mondo di Cavalieri dal cavallo artigliato. Il CAADX acquistato di recente è il giusto compromesso per un ciclocross come piace a me, e una Gravel Race che sto pian piano scoprendo.
Detto questo, perché non provare ad organizzarne una? Il percorso ci sarebbe già, in linea teorica, è il tracciato della DDTR mai portato a compimento per vari motivi. Il criterio di fondo che mi spinse a disegnare la DDTR (DarkDirTrackRace) fu l’acqua. Si doveva pedalare lambendo il più possibile i corsi d’acqua presenti nella zona. Il Seveso, fiume che attraversa Cusano, il Villoresi, opera straordinaria che preleva acqua dal Ticino e attraverso un canale artificiale di quasi 90km raggiunge il fiume Adda distribuendo nel frattempo acqua ai campi agricoli sparsi su tutto il territorio tra Prealpi e la città di Milano, l’Adda, l’imponente fiume che raggiunge il grande Po dopo essere risorto dal lago lariano del ramo di Lecco, ed infine il Lambro, che percorrendo in verticale tutta la Brianza è per forza di cose presente nel progetto.
L’ormai tradizionale giorno di ferie è dunque dedicato alla prova sul campo di questo percorso che sino ad oggi era solo nella mia mente, e in un’immagine jpeg.
Al test non poteva mancare Giovanni, il percorso è l’ideale per la sua Alfa. Appuntamento sotto casa mia come punto di partenza.
Alle 9:00 si parte direzione Est, direzione Gravel!
Tra ciclabili e tratti su campi coltivati, raggiungiamo la prima alzaia del Villoresi nel comune di Muggiò. Si pedala sul ciglio, oggi il Villoresi è vuoto per manutenzione, poco importa, siamo comunque carichi al punto giusto, e tra una battuta e una deviazione per lavori in corso, raggiungiamo Monza senza grossi problemi.
Fatichiamo ad attraversare la città con il traffico del mattino che non aiuta certo ad immergerci a pieno nello spirito “Border”. Riconquistata l’alzaia, dietro la Stazione FS, non facciamo in tempo a riprendere il ritmo che il paesaggio attorno cambia drasticamente, quello che nel tratto tra Muggiò e Monza poteva essere occasione di svago per le famiglie, questo secondo tratto, ancora influenzato dalla periferia cittadina, è un insieme di discariche abusive e siti poco trasparenti ideali per le attività che solo qui si possono svolgere… sarà davvero difficile bonificare appieno questo pezzo di Villoresi.
Inutile restare su un argine così brutale, perché non provare a pedalare sul letto? Tanto al massimo rischiamo una foratura, che altro?! Detto fatto, ci caliamo subito e iniziamo a pedalare sul fondo evitando il più possibile ogni tipo di oggetto abbandonato dall’uomo o trascinato dalle acque. Con questo stratagemma abbiamo sì evitato di perderci, ma non abbiamo garantito un tracciato affidabile per chi, un giorno, vorrà pedalare seguendo le nostre orme… vabbè, siamo costretti a ritracciare almeno questo primo pezzo, nel frattempo però, la libidine di pedalare sul letto del Villoresi non ha prezzo!
Oltre agli improbabili detriti da evitare sul fondo del canale, anche i passaggi sotto le varie arterie, soprattutto Tangenziali e Autostrade, non sono certo semplici da affrontare, le altezze tra i viadotti ed il bacino sono veramente minime, per evitare di incastrarsi sotto, siamo costretti a pedalare ripiegati sul fianco della bici, come dei veri funamboli delle due ruote!
Una volta superata questa parte caotica di incroci di strade, decidiamo di risalire sul ciglio, come è giusto che sia anche se ci troviamo in compagnia di un Villoresi orfano dell’acqua.
La nostra risalita sull’argine coincide anche con l’inizio di un tratto molto più accogliente e tranquillo rispetto a prima, sfioriamo senza mai abbandonare il Canale i comuni di Carugate, Gessate, Masate e Inzago, arrivando così sino al punto dove il Villoresi finisce la sua corsa tuffandosi nel Fiume Adda, nel territorio di Groppello. Siamo a 38 km dalla partenza, ma ascoltando le nostre gambe, sembra di averne già percorsi almeno il doppio! con i tasselli, anche se minimi, ed il fondo sterrato, bisogna “ruzzare” non poco per mantenere velocità da crociera accettabili, per questo i 38 sembrano molti di più.
Causa lavori di manutenzione, siamo costretti a percorre dell’asfalto sino a Vaprio d’Adda, dove ci congiungeremo con la ciclabile sull’Adda. Attraversando Vaprio però, decidiamo di fermarci per un primo pit-stop, caffè e un paio di snack per azzittire i primi brontolii dello stomaco, il ristoro è previsto ad Imbersago, non prima, quando si lascerà l’Adda per avvicinarsi alle malefiche rampe di Montevecchia.
Dopo aver ricevuto preziose indicazioni dai gestori del Bar, riprendiamo la strada in direzione del Santuario della Divina Maternità nel comune di Trezzo, sito sul ciglio dell’Adda in prossimità del punto dove nasce il Naviglio Martesana, e da dove, finalmente, è possibile imboccare la ciclabile in direzione di Lecco. Qui, a mio parere, inizia il tratto più spettacolare, il Fiume, a pochi centimetri dalle nostre ruote, ancora gonfio delle piogge cadute in questi ultimi giorni, è davvero maestoso. Il percorso, disegnato al meglio e facile da percorrere anche per i bambini, è ricco di siti di notevole interesse, oltre a suggestivi angoli della valle dell’Adda, le assolute protagoniste sono le centrali Elettriche sparse per tutto il tragitto, ingegno di altissimo livello messo a disposizione della comunità, uno spettacolo non solo per la loro funzione, ma anche per la loro bellezza architettonica.
Tornando alla cronaca, una Gravel che si rispetti non si finisce senza almeno una foratura, oggi il fortunato è Giovanni, domani sarò io. Sosta per cambio budello e via di nuovo, tra poco si passerà sotto il Ponte di Paderno e subito dopo ci sarà il traghetto Leonardiano ad attenderci, traghetto che segnerà anche la fine di questo secondo tratto e l’inizio del trasferimento verso le salite di Valfredda.
Raggiungiamo prima il centro di Imbersago, sostiamo nel Bar della piazza e ci riposiamo un po’, ci vuole dopo 65k di solo sterrato.
Come detto, qui inizia il tratto più impegnativo, dove sono concentrati gli strappi e le salite di tutto il giro, prima si dovrà recuperare il lago di Sartirana, poi, una volta arrivati ai piedi di Montevecchia, le rampe che da Fornaci attraverso Valfredda ci porteranno in cima al Monte, muri che spezzeranno le gambe e ci faranno odiare il momento in cui abbiamo deciso di partire per questo giro tra le vie d’acqua della #Brianzalandia.
Una cosa per volta…
Il primo strappetto dal Fiume al Paese lo abbiamo già superato, ora siamo già sul tratto che ci porta ai piedi della Chiesa di San Marcellino, a sinistra rispetto Madonna del Bosco. Si sentono la salite con queste bici, il peso, a cavallo del 10kg, incide parecchio sullo sforzo, soprattutto quando la strada richiama pendenze a due cifre, fortunatamente per noi, non siamo qui alla ricerca della performance, dobbiamo solo pedalare per passare oltre, null’altro.
Salutiamo il lago di Sarzana e recuperiamo senza troppa fretta la statale 342. Il traffico è notevole, rimpiangiamo le alzaie visitate questa mattina, fortunatamente rimaniamo nel bordello il tempo di un rettilineo, perché quasi subito giriamo a sinistra in direzione Pianezzo/Fornaci.
Qui brevissima sosta, ci guardiamo in faccia e ci diamo appuntamento in cima, non la prima cima, ma la cima cima, dove tutta questa tortura finirà, dove si riconquisterà l’amato sterrato nel pieno del Parco di Montevecchia. Prima però si dovrà sputare sangue caro mio…
La strada è la stessa percorsa durante la Rando Valle del Curone & Co ma in senso opposto, oggi si sale da dove si è scesi nel Maggio scorso.
Siamo a 75k, le gambe iniziano a farsi sentire, ricordo che nell’ultimo mese non ho fatto uscite in strada ma solo circuiti con il CAADX di un’ora portando al casa al massimo 30k… non di più. Se poi aggiungiamo che oggi si è pedalato prevalentemente su strade sterrate… beh, è legittimo che si inizi a sentire la fatica!
No Pain, No Gain. Sarà… subito il rocchetto il agile, il 28, mi devo ricordare di montare il 32 per la prossima uscita. Si sale alla velocità minima consentita, come detto prima, non si guarda il tempo, se deve solo svalicare. Ogni tanto mi volto per vedere come sta il compagno d’avventura, anche lui, da quello che posso capire, usa la mia stessa tecnica, di qui si deve passare, quindi per di qui si deve soffrire!
A parte gli scherzi, non ricordavo quanto fossero cattive le rampe di Montevecchia, ma soprattutto, non ricordavo quante fossero prima di arrivare in cima alla collina per poter dire di averla conquistata. Con uno stile indubbiamente goffo, raggiungiamo meritatamente il punto dove inizia lo sterrato che ci porterà poi ai piedi della nostra Cima Coppi, il Lissolo, o meglio, il Tetto Brianzolo, sede del nostro secondo punto di ristoro.
Questo tratto di strada in parte sterrato ed in parte asfaltato una volta era aperto al traffico, da parecchi anni ormai è strada chiusa a disposizione esclusiva dei Bikers e di chi vuole fare del trekking leggero a due passi da casa. Ogni tanto, attraverso la vegetazione, si scorge la pianura padana sul lato sud e le cime del Resegone e Grigna sul lato Nord, uno spettacolo soprattutto quando il Cielo è terso e concede queste splendide cartoline.
Stremati arriviamo all’ultimo strappetto che ci porta al Tetto Brianzolo, ormai è fatta, davanti a noi non più muri ma solo della sana e veloce discesa!
Sosta al Tetto per un buon caffè e per riempire la borraccia ormai vuota. Ci guardiamo in faccia e vista l’ora, sono ormai le 15:30 passate, preferiamo non trovarci a fianco del Lambro con il buio, sarebbe inutile e poco sicuro, preferiamo quindi rientrare verso Cusano per vie più tradizionali, ahimè asfaltate ma veloci da percorrere per rientrare prima che il Sole lasci il passo all’oscurità.
Qui praticamente si conclude l’edizione zero della DDTR, anche se la prima “D” sta per Dark, oggi la nostra missione era tracciare, verificare sul campo e prendere nota delle modifiche necessarie per rendere il prodotto il migliore possibile, non solo per noi, ma per chi ha Gravel nelle vene!
Ultimi chilometri in totale relax, appagati da una piacevole sensazione grazie ad un’idea che ci ha regalato l’occasione di trascorrere una piacevole giornata tra amici, pedalando per di più su due belle biciclette, circondati da un paese meraviglioso che si chiama Italia.
113km
900mds scarsi
5 ore e mezza escluso soste
perfetta media Rando!
Niente male, magari quando hai/avete finito di tracciare… Anche se in gravel la guida credo assuma caratteristiche tecniche che bisogna avere o farsi per evitare rovinose cadute. Forse la mia Surly Pacer (può montare copertoncini da 32 senza parafanghini, se ricordo bene) potrebbe starci dentro alla bisogna!
Mi permetto di dire la mia sul pacco pignoni. Io monto 11-28 (con compact davanti) e non me ne vergogno, anzi! La SUrly Pacer fa 12 kg senza borse e borracce nel mio allestimento.
Anche il peso ha più un effetto psicologico che reale. L’ unico momento in cui realmente incide sono i rilanci da fermo o in corsa o quando prendi una rampa per i primi metri…
Però, perdonami, credo che col 32 andresti sù a mulinello sfiatandoti… Magari giusto per qualche momento di rampa velenosa, ma nulla di più.
Gravel!
Grandissimo !!!
Quando lo rifai avvisami localove@gmail.com
Nel gravel sta la verita’
Ciao,
grazie!
stai connesso che novità ne arriveranno…
bye
Max
Ciao,
belle le tue uscite! Spero di farmi presto la gamba giusta per accompagnarti qualche volta. Contnua a scrivere.
Ciao,
daniele
che Gamba?! qui si esce e si vive al chilometro… Cmq grazie per il complimento e quando vuoi aggregarti fammi un fischio! già il 21 ad esempio…
Ciao,
cos’hai in programma il 21?
Che pirla! Sarebbe bastato che io leggessi l’articolo precedente.
Cavoli io abito poco sotto al Lissolo, a Cremella. Infatti al Tetto Brianzolo ci arrivo di corsa, salendo dal bosco che parte da Barzanò. Resto in contatto per eventuali altri giri, ho sia bici da corsa che MTB. Ciaoooooo!
Di Barzanó conosco il camoscio di #brianzalandia Riccardo Rodella…
Pingback: 1 Febbraio ’15 – Half Gravel in #Brianzalandia | spokes&nipples
Pingback: 19 Febbraio ’15 – Mud Murder | spokes&nipples
Pingback: 11 Aprile ’15 – LodiLeccoLodi GraveRace | spokes&nipples
Pingback: 11 Aprile ’15 – LodiLeccoLodi GravelRace | spokes&nipples